Se il ventennio fascista è a tutti ben noto nelle
sue linee essenziali e nelle tragiche conclusioni a cui condusse il Paese, le
sue origini continuano a restare poco chiare e sospese tra due estremi. Da un
lato l'idea, creata dal regime, di una rivoluzione nazionale che tra il 1919 e
il 1921 volle travolgere la vecchia Italia liberale e difendere il paese dal
pericolo "rosso". Dall'altra la vulgata, diffusa nell'ultimo mezzo secolo, di un
manipolo di violenti squadristi che al soldo di industriali e agrari posero fine
al cammino democratico del popolo.
"Il fascismo - scrisse Gobetti - è il
legittimo erede della democrazia italiana, eternamente ministeriale e
conciliante, paurosa delle libere iniziative popolari, oligarchica, parassitaria
e paternalistica." Ma questa ormai classica definizione si addice più che altro
al fascismo maturo, ormai giunto al potere. Negli anni della conquista il
movimento delle camice nere era tutt'altra cosa. Meno "ministeriale e
conciliante", il fascismo delle origini interpretò tra mille contraddizioni la
rivoluzione e l'ordine, il progresso e la reazione, il repubblicanesimo e la
fedeltà monarchica.
Il regista, il trascinatore, ma nei primi anni anche la
semplice comparsa indecisa sul ruolo da interpretare, fu naturalmente Benito
Mussolini. Delle tante definizioni sul primo Mussolini, che da emigrante in
Svizzera (arrestato nel 1903 come agitatore socialista) torna in Italia e
conquista in pochi anni la leadership dell'ala rivoluzionaria del PSI e poi la
direzione dell'
Avanti, una delle più calzanti l'ha scritta Pietro
Nenni: "Plebeo era, e pareva che volesse restare, ma senza amore per le plebi.
Negli operai ai quali parlava vedeva non dei fratelli, ma una forza, un mezzo,
del quale potrebbe servirsi per rovesciare il mondo". E il giudizio, ci pare,
potrebbe estendersi a tutto il fascismo e alle sue velleità di rappresentare in
un'unica vocazione il minestrone di partiti e ideali che serpeggiavano nel
Paese, in una sorta di inestricabile guazzabuglio composto da Marx, Nietzsche,
Sorel e D'Annunzio, tanto per citare i più abituali riferimenti politici e
culturali dell'epoca.
Solitamente si fanno risalire le cause
dell'affermazione del fascismo alla grave crisi politica ed economica seguita
alla prima guerra mondiale. Ma ci sono anche studiosi che ne datano l'origine al
1915, alla radiose giornate di maggio in cui alcune minoranze chiassose e
violente forzarono la mano al parlamento spingendo il Paese alla guerra. La
verginità democratica dell'Italia liberale fu violata allora, spiegano,
introducendo nella pratica politica l'idea del colpo di mano.
E in effetti è
proprio il ruolo giocato da Mussolini, fulminato sulla via della guerra pochi
mesi dopo gli spari di Sarajevo, ad avvalorare questa ipotesi. Dopo l'espulsione
dal PSI (ottobre 1914) è ormai uno dei leader dell'interventismo democratico di
sinistra e contribuisce in modo determinante, con Corridoni e De Ambris, due
sindacalisti a forte vocazione sovversiva, alla creazione, tra il dicembre 1914
e il gennaio 1915, dei
Fasci di azione rivoluzionaria. Derivati dal
preesistente
Fascio rivoluzionario d'azione internazionalista, si
propongono di fondere sotto un'unica bandiera tutto l'interventismo di sinistra.
Suscitando l'ingresso in guerra dell'Italia, i
Fasci sperano di
risolvere i problemi delle nazionalità, di cacciare i Savoia e di chiudere una
volta per tutte i conti con il militarismo dei grandi imperi. Mussolini allora
era ancora ostile al nazionalismo: il confine al Brennero e l'annessione
dell'Istria e della Dalmazia, come ebbe modo di scrivere sul
Popolo
d'Italia, erano delle pretese assurde. Il confine al Brennero, scriveva
ancora nei primi mesi del 1915, "implicherebbe l'annessione di 100 mila
tedeschi", mentre la richiesta dei nazionalisti di
![]() |
| Una foto
giovanile di Mussolini |
escludere la Serbia
dall'accesso all'Adriatico "sarebbe un atto di prepotenza, un atto assolutamente
impolitico che avrebbe conseguenze dannosissime per l'Italia". Ma a parte questa
moderazione di fondo, Mussolini e i
Fasci erano ormai passati armi e
bagagli dalla parte dell'intervento. Il mito del protofascismo non era la guerra
"sola igiene del mondo", ma, nel miglior solco della tradizione rivoluzionaria,
il trampolino di lancio per un sovvertimento sociale suscitato dalle masse in
armi. Non a caso Lenin, che di rivolgimenti era maestro, si lamenterà pochi anni
dopo con il PSI perché si era lasciato sfuggire l'unico uomo capace di fare la
rivoluzione in Italia.
Resta tuttavia il fatto che le origini del fascismo
non possono essere capite prescindendo dalla crisi postbellica. "Ci pare ne sia
eloquente conferma - ha scritto De Felice - il fatto che se il fascismo nacque
subito all'indomani della fine della guerra (nel marzo 1919), esso divenne un
fatto politicamente rilevante e assunse le caratteristiche grazie alla quali si
affermò e che ne costituirono le peculiarità solo con la fine del 1920,
parallelamente al concludersi della prima fase della crisi postbellica (biennio
rosso). Sino a quel momento era stato un fenomeno politico e sociale
trascurabile, difficilmente definibile e in ogni caso - nonostante alcuni
eloquenti sintomi involutivi - sostanzialmente riconnettibili più al vecchio
filone del sovversivismo irregolare che non agli orientamenti prevalenti nella
borghesia che aveva fatto la guerra".
Conclusa il conflitto Mussolini, che
non è ancora il leader incontrastato del movimento, circondato com'è da
futuristi, nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari e sovversivi anarchici,
crede di trovare nel concetto di sindacalismo nazionale (una curiosa mescolanza
di operaismo e nazionalismo) una terza via tra il marxismo e il liberalismo, che
sintetizzi due concetti tra loro lontanissimi come 'classe' e 'nazione'. "Noi ci
mettiamo sul terreno della nazione, che contiene la classe di tutte le classi,
mentre la classe non contiene affatto la Nazione", dirà con abile gioco di
parole alla vigilia della fondazione dei
Fasci di Combattimento.
Nei
primi giorni del marzo 1919 dalle colonne del
Popolo d'Italia Mussolini
convoca "un'adunata importantissima" di combattenti ed ex combattenti dove "sarà
creato l'antipartito. Sorgeranno cioè i
Fasci di Combattimento, che
faranno fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello
distruttivo di sinistra". La necessità di tale incontro veniva spiegata in
questi termini: "Tenendoci fermi sul terreno dell'interventismo - né
potrebb'essere altrimenti, essendo stato l'interventismo il fatto dominante
della Nazione -, noi rivendichiamo il diritto e proclamiamo il dovere di
trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita
italiana". Gli obbiettivi però erano piuttosto confusi, e si alludeva
genericamente a una "elevazione materiale e spirituale dei cittadini italiani".
Il terreno e la prospettiva di sviluppo del movimento erano però ancora
chiaramente di sinistra.
Alla riunione costitutiva del movimento, tenutasi a
Milano il 23 marzo 1919 in piazza San Sepolcro, nella sede dell'Alleanza
Industriale e Commerciale, partecipano poco più di un centinaio di persone tra
ex socialisti (Mussolini, Ferradini), sindacalisti (Bianchi, Giampaoli),
futuristi (Marinetti) e Arditi (Vecchi, Meraviglia). Nel suo discorso,
Mussolini, sensibilissimo agli umori della variegata folla, riuscì ad
accontentare tutti quanti. Esaltò il concetto di
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"La nazione
italiana è come una grande famiglia. Le casse sono vuote.
Chi deve riempirle?" |
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produzione,
reclamando tuttavia la confisca delle ricchezze accumulate illecitamente dai
grandi gruppi industriali durante la guerra. Chiese l'abolizione del Senato e il
voto per le donne, la convocazione di una assemblea per decidere la forma
istituzionale del Paese nel quale i
Fasci avrebbero preso posizione per
la repubblica, e una rappresentanza politica basata non più sulle ideologie ma
sulle corporazioni.
Pochi mesi dopo Mussolini tornerà ancora, con il solito
piglio rivoluzionario, sul tema delle ricchezze illecite: "La nazione italiana è
come una grande famiglia. Le casse sono vuote. Chi deve riempirle? Noi, forse?
Noi che non possediamo case, automobili, banche, miniere, terre, fabbriche,
banconote? Chi può, 'deve' pagare. Chi può deve sborsare... È l'ora dei
sacrifici per tutti. Chi non ha dato il sangue, dia il denaro".
Ma l'adunata
di piazza San Sepolcro, che in seguito gli Italiani dovranno festeggiare per
tutto il Ventennio, si risolse sostanzialmente in un mezzo fiasco. Mussolini non
ne uscì con l'investitura di capo, talmente vaghi erano i suoi propositi e
variopinto l'uditorio. Per un certo tempo egli sembrò dimostrare scarsa fiducia
nella sua creatura. Nei mesi successivi se ne disinteressò rituffandosi
nell'alacre attività giornalistica di sempre e per lavorare al progettato blocco
delle sinistre interventiste. In questo progetto i
Fasci sarebbero
tornati utili al massimo in un secondo momento, per presentarsi all'opinione
pubblica con un minimo di retroguardia. Ancora nel luglio del 1919 Mussolini
scriveva che "il fascismo è un movimento di realtà, di verità [...] che non
presume di vivere sempre e molto. Vivrà fino a quando non avrà compiuto l'opera
che si è prefissa". E già abbiamo visto su quali basi di vaghezza e confusione
ideologica l'opera si fondasse.
Ma se il movimento non era ancora ben
definito, i metodi di lotta erano chiari. Arditi e nazionalisti portarono al
nascente fascismo più che un contributo di tipo ideologico quello della violenza
di piazza. A Milano, nell'aprile del 1919 alcune squadre attaccarono la sede
dell'
Avanti provocando quattro morti nel corso di una intera giornata
di tumulti. Dopo questa azione la strada per la conquista delle masse
proletarie, tracciata da Mussolini meno di un mese prima a piazza San Sepolcro,
veniva definitivamente preclusa.
Fallita ogni possibilità di riagganciarsi
alla sinistra, Mussolini decise quindi di giocare la carta del nazionalismo.
L'occasione propizia si presentò con l'avventura dannunziana di Fiume, nel
settembre 1919. Ma dopo i primi giorni di entusiasmo, constatato che né
l'Esercito né gli Italiani (a parte una esigua schiera di nazionalisti)
dedicavano troppa attenzione alle esibizioni del Vate, Mussolini decise di
prendere le distanze.
Restava ancora la carta delle elezioni per valutare
l'effettiva consistenza dei
Fasci. Ormai chiusi gli spazi a sinistra,
sempre dominati dai socialisti, gli unici compagni di viaggio potevano essere
ormai solo i futuristi, gli arditi e i reduci di guerra.
Ma nel novembre 1919
l'esito delle urne sembrò dover spazzare dalla storia italiana la meteora
fascista. Alle elezioni politiche i
Fasci di Combattimento, che si
presentarono a Milano con una lista in cui era candidato anche Marinetti, non
conquistarono alcun seggio. I veri vincitori furono i socialisti e i popolari.
Pochi giorni dopo Mussolini finì anche in carcere (ma solo alcune ore) in
seguito al ritrovamento di armi nel suo ufficio. Il fascismo, sconfitto e
diviso, sembrava ormai prossimo all'estinzione. A fine anno in tutto il Paese
erano poco meno di mille gli iscritti ai
Fasci.
Ma è nella seconda
metà del 1920, con il precipitare della situazione politica italiana, che il
fascismo inizia a rompere i suoi legami con i temi delle sinistra rivoluzionaria
e ad accentuare i toni nazionalistici. È da questo momento che il fascismo
diventa poco a poco quello che sarà per tutto il
Ventennio. Un
movimento che brama il potere e che per
 |
| Mussolini, al
centro, con un gruppo di
gerarchi |
conquistarlo/conservarlo è disposto
a tutto: alla forza dei manganelli e alla violenza di piazza, così come al
compromesso politico e al tradimento dei vecchi ideali. Del resto l'impalcatura
ideologica del movimento fascista era così duttile che ognuno poteva trovarci
quel che voleva: un elemento, questo, che si rivelerà estremamente utile nel
conservare il regime per i due ulteriori decenni.
Ben pochi 'padri
fondatori' di piazza San Sepolcro seguiranno il loro leader nelle successive
capriole. Il secondo congresso dei
Fasci, che si tiene a Milano nel
maggio del 1920 si sposta leggermente verso destra. Della vecchia direzione,
tutta di sinistra, ne fu rieletta solo la metà. Mussolini, consapevole
dell'impossibilità di strappare consensi ai due partiti più forti, quello
socialista e quello popolare, sceglie di cavalcare il malcontento dei ceti medi.
Quei ceti medi costituiti da piccoli e medi risparmiatori, piccoli proprietari
terrieri, impiegati di stato e pensionati che non godettero dei prodigiosi
arricchimenti portati dalla guerra a industriali, speculatori e commercianti, e
che non poterono tuttavia beneficiare dei miglioramenti economici e normativi di
contadini e operai (secondo Luigi Einaudi tra il 1919 e il 1920 operai e
agricoltori ottennero aumenti salariali superiori all'aumento del livello medio
dei prezzi). Da qui lo sbandamento dei ceti medi verso i movimenti destra,
sbandamento che Einaudi definì come il "veleno" di quel biennio: "il veleno era
morale ed operò per vie morali, che si chiamano invidia, odio, superbia,
lussuria, rapina, miseria, vendetta, ignoranza...".
In singolare sintonia con
Einaudi, anche Mussolini ricorderà a posteriori, nel 1939, la tensione
spirituale che lo aveva condotto alla fondazione dei
Fasci: "Milano era
ormai una piattaforma senza personaggi [...] Cercai il polso della folla e capii
come, nel disorientamento generale, il mio pubblico ci fosse [...] I battuti
dalla vittoria furono gli ufficiali inferiori, i sottuficiali cui alcuna
guarentigia aveva conservato il posto di lavoro occupato quando la guerra non
c'era. Gli sconfitti erano stati, per lo svilimento della moneta, i reddituari
fissi, i piccoli risparmiatori, gli anticipatori allo Stato dei mezzi per fare
la guerra, i sottoscrittori del debito pubblico, ossia. Un diritto alla vita era
stato tradito. Qualcuno aveva mancato alle promesse giurate. La mia strada trovò
da sola la giusta direzione".
Cediamo a questo punto la parola a De Felice,
che sulla nascita del fascismo e sulla psicologia del suo fondatore ha scritto
pagine illuminanti: "Chi ripercorra oggi gli avvenimenti che portarono Mussolini
alla fondazione dei
Fasci di Combattimento e, più ancora in qua, al suo
accordo con Giolitti dell'autunno 1920 non può non rilevare due fatti
fondamentali. Primo: nei due anni che intercorsero tra la fine della guerra e
l'accordo con Giolitti, Mussolini si mosse in una direzione sostanzialmente
univoca, ma altrettanto sostanzialmente tracciata giorno per giorno, frutto non
già di un piano e di una consapevolezza precisi, ma - al contrario - determinati
da un successivo adeguamento e inserimento nella situazione in atto. Secondo:
quando diede vita ai
Fasci di Combattimento Mussolini non aveva la più
pallida idea di dove essi lo avrebbero portato. [...] Si può dire che lo stesso
Mussolini ad un certo punto si trovò ad essere uno dei grandi protagonisti della
ribalta italiana quasi senza accorgersene, per successivi adeguamenti, per
successivi compromessi. Giornalista appassionato e ormai giunto a piena
maturità, aveva dato vita ai
Fasci, aveva assunto certe posizioni
soprattutto per portare avanti 'l'azienda' (il
Popolo d'Italia, n.d.a.)
e, in definitiva, per 'farsi una cuccia'; ad un certo momento si trovò alla
testa di un movimento politico che aveva tirato su giorno per giorno con i suoi
articoli e che improvvisamente gli si rivelò grande a condizione di seguirne la
logica e di considerarlo la sua vera 'azienda'. Da qui la vera grande,
definitiva svolta mussoliniana della fine del 1920..."
Agli scioperi agrari
nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e
all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo risponde con
la
 |
| Un momento
della marcia su Roma |
violenza. Squadre
composte da studenti e da Arditi intervengono per spezzare gli scioperi
aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A
istigarli è Mussolini stesso, che dichiara di preferire di combattere i
socialisti con la pistola piuttosto che con il voto. A novembre, in occasione
dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema
sinistra, partono pistolettate e bombe a mano che provocano la morte di nove
persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista viene ucciso in pieno
Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estendono il loro raggio d'azione
alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vengono assaltate le
Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le
leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assaltano e incendiano le
sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vengono
rivolte alla popolazione tedesca, di cui si auspica una forzata italianizzazione
("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini).
Prefetti,
commissari di polizia e comandanti militari tollerano e in alcuni casi agevolano
le "operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono
dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente",
disse Giolitti minimizzando il problema. Mai un pronostico si rivelò così
incauto.
Sul finire del 1920 l'influenza dei sindacalisti, degli ex
socialisti e dei futuristi all'interno del movimento fascista diminuisce
ulteriormente a vantaggio degli elementi borghesi e reazionari. Ma il
radicalismo degli anni passati non viene completamente abbandonato. Nonostante
il movimento strizzi sempre più spesso l'occhio al grande padronato industriale
e ai proprietari terrieri della bassa padana, Mussolini non rinuncia alle sue
origini. Nel 1920 continua a dichiararsi risolutamente repubblicano, condanna
l'occupazione delle fabbriche ma anche l'intransigenza dei padroni, esalta
l'importanza storica dei Consigli di fabbrica e dichiara che il suo movimento
non sarà mai il "cane da guardia del capitalismo".
È solo a partire dall'anno
successivo che i toni rivoluzionari si smorzano. Anche se in modo non troppo
evidente, se ancora all'inizio del 1921 Mussolini si lascia 'scappare' - per
conquistare le masse contadine e in barba agli agrari che da mesi finanziano il
suo movimento - che il "fascismo significa terra a chi la
lavora".
L'evoluzione politica del fascismo è ancora una volta legata in modo
inscindibile a quella del suo capo. Mussolini entra in contatto con Giolitti per
trovare nuovi spazi di legittimità. Mette quindi la sordina alle aspirazioni
rivoluzionarie del movimento per promuoverne una nuova immagine di forza
politica responsabile, anche se con una malcelata vocazione a farsi giustizia da
sé. Approva il trattato di Rapallo e si limita a qualche protesta di facciata
quando D'Annunzio viene fatto sgombrare da Fiume. La ricompensa è l'ingresso del
fascismo nel
Blocco Nazionale giolittiano in vista delle elezioni del
maggio 1921. Le urne, com'è noto, confermarono le salde posizioni di socialisti
e popolari e l'ingresso in parlamento della prima pattuglia comunista. Ma la
grande novità è la presenza di 35 fascisti, con Mussolini alla loro testa. Per
il nuovo Governo del solito Giolitti non è certo un alleato sul quale fare
affidamento. A poco più di un mese dalle elezioni il vecchio statista cede
definitivamente la mano, dimettendosi dalla politica attiva.
Nel frattempo
Mussolini non poteva più rimandare il confronto con gli obiettivi e la vera
natura del suo movimento. Troppo preso dagli avvenimenti politici e dalle
trattative prima con D'Annunzio e poi con Giolitti aveva lasciato le redini del
fascismo - ancora privo di una struttura organizzativa di tipo partitico - nelle
mani dei vari
ras locali. Arpinati a Bologna,
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| Cartellino
segnaletico di Mussolini |
Balbo a Ferrara,
Farinacci a Cremona dettavano legge con le loro 'squadre' nelle piazze e nelle
campagne. Ma c'era il rischio che il tacito consenso di cui avevano goduto
venisse meno. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 l'opinione pubblica aveva
accettato con malcelata soddisfazione le violenze fasciste perché si rivolgevano
contro il pericolo rivoluzionario "rosso". Ma verso la metà del 1921 la paura
era stata superata e con questa la tolleranza verso le sopraffazioni fasciste. A
luglio, la creazione degli Arditi del Popolo, un gruppo armato di stampo
anarchico e comunista nato per difendere le associazioni proletarie, fece
ritornare in auge i
ras. Tuttavia il ruolo 'pacificatore' del fascismo
sembrava esaurito anche per la stampa che fino a pochi mesi prima ne aveva
esaltato le benemerenze.
Mussolini tenta allora un avvicinamento ai
socialisti, ma la base squadrista si oppone con violenza e intensifica le
violenze di piazza. Nella seconda metà del 1921 Mussolini sente di non avere più
il controllo sulla base del movimento, sempre più orientato a ruolo di 'guardia
bianca' degli agrari e del capitalismo. Invano convoca un consiglio nazionale a
Roma per richiamare all'ordine le 'squadre' e ribadire i principi ispiratori del
1919. Le due anime del fascismo sono alla resa dei conti. Mussolini,
nell'inedita veste di moderato, propone un patto di pacificazione tra fascisti e
socialisti (popolari, repubblicani e comunisti non vorranno partecipare) per
porre fine al clima di reciproche intimidazioni. L'iniziativa verrà contestata
dalla base e indurrà Mussolini al gesto clamoroso delle dimissioni dal
movimento, respinte però a fine agosto dal Consiglio nazionale di Firenze.
La maschera di uomo d'ordine, capace di tenere a bada le diverse anime del
fascismo, Mussolini la indossa definitivamente il 7 novembre 1921 all'Augusteo
di Roma, nel corso del congresso che trasforma il movimento in partito.
L'opposizione di Grandi e Farinacci viene liquidata senza troppi problemi,
nominando alle cariche più importanti personaggi facilmente manovrabili (Starace
su tutti). La componente nazionalista e quella di sinistra vengono assorbite e
stemperate. La via rivoluzionaria è praticamente finita. Il fascismo imbocca la
strada del parlamentarismo e della conquista legale del potere.
Fin qui la
cronaca degli avvenimenti che portarono alla nascita del fascismo. E che pochi
mesi dopo condussero alla marcia su Roma, al Governo Mussolini e alla successiva
dittatura. Resta da chiedersi con quali occhi i contemporanei guardassero al
fascismo, quali ipotesi formulassero sulla nascita di un movimento che, nato dal
basso e svezzato al mito della rivoluzione, era approdato nel volgere di poco
tempo alla stanza dei bottoni.
La pubblicistica e il giornalismo degli anni
1921-22 era pressoché unanime nel riconoscere sostanzialmente tra i due tipi di
fascismo visti sopra, quello del 1919-20, che si collegava direttamente
all'interventismo rivoluzionario del 1914-15, e quello successivo alla fine del
1920, quando si ebbe lo sviluppo del fascismo agrario emiliano-romagnolo. Il più
pericoloso era naturalmente il secondo. Scriveva nell'agosto del 1921 il
periodico comunista
Ordine Nuovo, che "il fascismo come organizzazione
generale e generica dei reduci di guerra non è quello che interessa;
l'importanza del fascismo data dall'epoca del suo sviluppo come arma
antiproletaria degli agrari emiliani".
Il fascismo dei primissimi anni Venti
appariva ai contemporanei come una reazione borghese al biennio rosso e al
bolscevismo. Naturalmente c'era chi valutava questa reazione in modo positivo e
chi negativamente, ma ciò non toglie che l'immagine di partito pienamente
inserito in una stagione di lotte di classe non trovasse d'accordo sia i
fiancheggiatori che gli oppositori di Mussolini. Quale fosse poi la vera natura
del fascismo non era ancora chiaro un anno dopo la marcia su Roma. Forse non lo
sapeva lo stesso Mussolini, che dimostrò fiuto politico, grande opportunismo e
una estrema abilità nel navigare a vista tra i marosi della politica italiana
dell'epoca: "Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici,
conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, reazionari e
rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di
luogo e di ambiente". Non sorprende quindi che a risultare spiazzati nel
definire il movimento fascista fossero anche gli antifascisti più attenti e
tenaci. Scrisse nel 1923 Piero Gobetti che "l'interpretazione comune (reazione
ai miti patriottici e alle ebbrezze rivoluzionarie) ha un valore pratico ed è
parsa sin qui destinata a far fortuna, ma non presenta alcun significato in sede
politica dove gli interessi e la retorica dovrebbero trasformarsi in situazioni
storiche. Anche l'interpretazione marxista (reazione borghese) è insufficiente e
spiega solo poche situazioni sociali".
Ed è forse proprio a causa di questo
dubbio gobettiano irrisolto che ancora oggi ci interroghiamo su quella deriva
violenta e autoritaria che pochi seppero intuire e arginare. La maggior parte
degli Italiani disapprovò i metodi degli squadristi. Ma tra di loro una fetta
consistente non rinunciò a riconoscersi negli obiettivi e negli ideali del
fascismo.